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Scritto da  2015-01-10

LA SCACCHIERA DELLE FUTURE CYBER-GUERRE

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Lo scenario sta mutando. Superficialmente possono sembrare schermaglie o capricci del mercato, in realtà rispondono a una logica più vasta, di posizionamento sullo scacchiere geo-politico internazionale. I colossi del web rappresentano un avamposto strategico di alcuni stati nazionali, essendo in grado di aggirare le barriere ordinarie grazie alla loro fluidità e capacità di diffusione capillare. Alleati preziosi, quindi.


Soprattutto gli Stati Uniti capirono, già anni addietro e in anticipo su tutti, questa potenzialità, intuendo che il polo IT della Silicon Valley potesse diventare un centro nevralgico e strategico per il predominio internazionale: molte delle più influenti multinazionali del web sono americane, è utile ricordarlo. E dunque, sullo sfondo delle campagne mediorientali dell’amministrazione Bush jr, ultimo anelito di una vecchia e tramontate concezione di predominio militare, si ponevano le basi di un nuovo ordine che, come ogni ambizioso progetto, nasceva “lontano” dai riflettori. Non stupisce, dunque, il sospetto (e a volte l'ostilità) che l’Europa, e ancora di più la Russia, nutrono per queste compagnie americane, e tantomeno i tentativi di limitarne l’operato.

Un fronte, se vogliamo più leggero e formale, venne aperto in Europa già lo scorso anno, in merito alla questione “web tax”: si tratta di un tentativo di stabilire regole generali affinché le società operanti nel web vengano trattate, in materia fiscale, come le altre aziende, regolandone la tassazione degli utili maturati nei paesi comunitari. Non si può trascurare come la questione sia resa più complessa dalla mancanza di un’uniformità fiscale tra i paesi membri, cosa che rende alle web companies il gioco facile, ad esempio grazie alla possibilità di porre le loro sedi in paradisi fiscali quali il Lussemburgo - per inciso, paese di origine dell’attuale Presidente della Commissione Europea, Juncker.
Non è già questa una linea interpretativa?

Vennero così la Google tax spagnola e la più recente Web Tax britannica. Quest’ultimo è un provvedimento del governo Cameron, che introduce una tassazione sui profitti generati dalle multinazionali del web tramite attività economiche in Gran Bretagna (è interessante osservare come entrambi i governi appartengano all’area popolare-conservatrice).
Al di là dei singoli provvedimenti, che possono sembrare semplicemente dei tentativi di fare cassa, si nasconde in realtà un malumore che serpeggia in suolo europeo per questi soggetti transnazionali, fortemente legati alla politica estera americana. C’è la consapevolezza di una sorta di ritardo nella “geopolitica dello spionaggio”, di un’assenza di una controparte europea, a cui i governi del vecchio continente reagiscono con un tentativo di chiusura.

Ancora più complesso e teso è invece il fronte russo: la dottrina Putin ha dato il via a un vero e proprio scontro aperto con le multinazionali del web, in particolare Google, Facebook e Twitter. Ricordiamo l’ultimatum dato a questi ultimi di collocare i loro database in Russia entro gennaio 2015, ed è facile aspettarsi in questi mesi importanti novità. Da alcune indiscrezioni emerge comunque che queste società stiano pensando a una nuova politica da adottare con la Russia, soprattutto in merito alle continue richieste di censurare gli oppositori alla linea politica del Cremlino. Recentemente, la pagina Facebook della manifestazione in opposizione a Putin, prevista per il prossimo 15 gennaio a Mosca, è stata chiusa su richiesta del governo.

Più a oriente anche la Cina ha preso dei provvedimenti, in particolar modo con Google: è stato bloccato l’accesso a Gmail anche attraverso le piattaforme di terzi, incrementando la lista dei servizi dell’azienda di Mountain View banditi sul suolo cinese (come ad esempio i servizi del motore di ricerca e Google Maps). Gli utenti possono aggirare il blocco solo mediante una connessione VPN (Virtual Private Network).
Dulcis in fundo, concludiamo ricordando l’evento con più risonanza mediatica di questi ultimi mesi, vale a dire il presunto cyber attacco della Corea del Nord ai danni dell’americana Sony Pictures, rea di aver prodotto un film in cui il dittatore di Pyongyang viene dileggiato. Il regime asiatico nega qualsiasi responsabilità, ma l’FBI non ha dubbi sulla paternità dell’attacco e la Casa Bianca ha deciso di inasprire le sanzioni colpendo vari soggetti, tra i quali l’intelligence nordcoreana.

Lasciando il beneficio del dubbio, tuttavia, questo attacco suona come un forte avvertimento agli Stati Uniti. Pare sempre più evidente che nel 2015 la diplomazia internazionale si troverà a fronteggiare crescenti casi di simili tensioni, e la politica estera U.S.A. sarà silentemente rivolta a non perdere il controllo di questi avamposti strategici.

Questo blog non rappresenta in alcun modo una testata giornalistica, in quanto non viene aggiornato periodicamente e perciò non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.

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